Protesi Anca - Anca
L’intervento di protesizzazione dell’anca si è diffuso in tutto il mondo a partire dagli anni ‘60. Prima di questa data diversi tentativi di realizzare la sostituzione di questa articolazione una volta usurata da processi degenerativi (coxartrosi) aveva dato risultati alterni e spesso infruttuosi. Il primo vero intervento è stato quello di J.Charnley eseguito con una componente femorale in metallo e una acetabolare in Teflon. Tale intervento ebbe esito negativo a causa dei materiali utilizzati: il Teflon si usurava troppo rapidamente.
Oggi la chirurgia protesica dell’anca si è talmente evolutache il chirurgo dispone di materiali e tecniche operatorie più evolute e in continuo aggiornamento con il risultato che gli impianti sono sempre più stabili, duraturi nel tempo e meglio integrati biologicamente e biomeccanicamente con l’osso. CIò permette di effettuare l’intervento di protesi d’anca con sicurezza e con notevole risparmio delle strutture anatomiche.
Le indicazioni si sono ampliate, l’età media dei pazienti da sottoporre all’intervento si è ridotta, le aspettative di vita notevolmente incrementate.
Gli scopi di una protesizzazione di anca sono quelli di ottenere una “nuova anca” stabile, non dolente, con unabuona mobilità che possa ripristinare l’autonomia del paziente nello svolgere le attività quotidiane, soprattuttosenza dolore e senza lo spettro di una“mobilizzazione”precoce (fallimento biologico dell’impianto), come negli impianti di una volta, ma con una lunga durata nel tempo. Oggi la protesi d’anca permette un recupero eccellente in termini qualità della vita e di durata dell’impianto (90% a 10 anni e il 75 % a 15 anni) . Ogni anno vengono effettuati in Italia circa 80.000 interventi di sostituzione protesica dell’anca.
Gli interventi di sostituzione protesica dell’anca possono essere classificati in tre tipologie: la sostituzione totale o artroprotesi, che prevede di intervenire su entrambe le componenti articolari, femorale e acetabolare; lasostituzione parziale, comunemente indicata con il termine endoprotesi, che si effettua nelle fratture sottocapitate del collo femore in pazienti con età maggiore di 70 anni e che non prevede l’impianto di componente acetabolare; la revisione, o riprotesizzazione, che in caso di mobilizzazione “settica o asettica“ di un impianto già effettuato prevede la sostituzione della protesi.
La protesi d’anca è costituita da alcuni elementi che sostituiscono funzionalmente le componenti acetabolare e femorale dell’articolazione fisiologica: il cotile, generalmente metallico, in cui viene posizionato un inserto di polietilene, ceramica, o metallo; lo stelo metallico sulla cui estremità superiore, denominata collo, viene inserita una testa metallica o di ceramica a seconda dell’età del paziente. Lo stelo e il cotile possono essere“fissati” all’osso utilizzando il “cemento” (protesi cementata) o come accade sempre più frequentemente, semplicemente “impattando” (press fit) le componenti protesiche nella sede opportunamente preparata senza l’utilizzo di cemento (protesi non cementata). Queste ultime sono generalmente realizzate in titanio e presentano una superficie porosa o rivestita di idrossiapatite, per favorire la crescita di tessuto osseo ad avvolgere la protesi. La qualità dell’osso, la morfologia femorale e acetabolare, l’età del paziente e le sue condizioni cliniche indirizzano la scelta del sistema protesico e del mezzo di fissazione.
- Fase Pre-Operatoria
- Fase Post-Operatoria
E’ un intervento complesso che si rende necessario quando la situazione clinica dell’anca influisce sulla vita di relazione del paziente e ne riduce i movimenti andando ad influire in senso negativo sugli altri organi ed apparati. Va preparato con accuratezza; sono necessarie: a) Visita cardiologica b) Visita internistica c) Visita angiologica d) Visita anestesiologica* *Durante questa visita il paziente si accorderà con l’anestesista sul tipo di anestesia da adottare. La scelta varia dalla generale alla epidurale, alla periferica. Con il “placet” di questi specialisti si puo’ procedere con serenità all’intervento affidandosi ad una equipe ortopedica e polispecialistica esperta e presso una struttura organizzata che abbia a disposizione una “terapia intensiva”. E’ necessario predepositare una sacca (unità) del proprio sangue che verrà reintegrato nella fase postoperatoria, se fosse necessario. Prese queste precauzioni l’intervento si può ritenere organizzato.
Dopo la prima notte dedicata alla terapia analgesica il paziente viene messo “seduto” il giorno successivo, ed “in piedi” 48 ore dopo. Deambulerà col fisioterapista nei tre giorni successivi, dimesso in quinta giornata. A questo punto il paziente può tornare a casa ove verrà riabilitato (a camminare) un’ora al giorno dal fisioterapista. In alternativa, e a scelta del paziente, può trasferirsi presso una struttura dove effettuerà 20 giorni di fisioterapia in regime di ricovero. Nella maggior parte dei casi i pazienti dopo un mese dall’intervento hanno recuperato la loro autonomia e sono avviati ad una buona guarigione.